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Marcello Piccardo: i mestieri del comunicare

 

 

 

“Ho fatto, nella mia vita professionale, i quattro mestieri della comunicazione e cioè lo scrivere, il disegnare, il cinema e la televisione, fino al capovolgimento che mi ha fatto passare dall’ essere autore della comunicazione al consentire a chi non detiene i mezzi di poter comunicare con essi.”

 

Marcello Piccardo manifesta per tutto l’arco della sua vita un eclettismo molto particolare, che gli consente di muoversi professionalmente nella comunicazione utilizzandone tutti i mezzi, che spesso si compenetrano. 

 

Sa scrivere

con uno stile tutto suo, libero, al limite della comunicativa codificata, ma dando così alle parole una rinnovata carica espressiva.

Lo fa da prima della guerra collaborando alla redazione della rivista Relazioni Internazionali, che, in anni autarchici, è una delle poche voci che resocontano delle situazioni estere con completezza.

Lo fa con racconti, filastrocche, soggetti per il teatro, testi e sceneggiature per la televisione, cose pubblicate (da una “Storia della vita”, a “Il cinema fatto dai bambini”, fino a “La collina del cinema”) e non (dispiace non possiate leggere suoi racconti di fantasia come “I quattro cadetti”,  “Storia di pic delle colline” e “E l’uomo fece la scimmia a sua immagine e somiglianza”, e storie di vita come “Diario di guerra”,  “Milanomenomale” e “Monte Olimpino”), fino ai testi di canzoni per bambini piccoli e grandi.

 

Scrive anche una commedia musicale jazz, ambientata nei grandi magazzini, “I tamburi e la voce”, musicata da Gil Cuppini, e mai realizzata.

 

 

Sa disegnare

con uno stile tutto suo, libero, dal tratto svelto e assolutamente efficace.

Lo fa da subito dopo la guerra, disegnando animaletti che propone come personaggi di cartoni animati, lavorando al suo primo cinema d’animazione a Milano con suo fratello Osvaldo.

Lo fa come illustratore per riviste di moda e d’arredamento nella fine degli anni ‘40 (negli anni scorsi ho ritrovato su bancarelle dell’usato molti numeri di Grazia con i suoi stilizzati esercizi di ginnastica, e anche una splendida pubblicità per la Lambretta su un vecchio Motociclismo).

Lo fa come opinionista per il Giorno, nelle pagine culturali col suo personaggio “Noi”, che rilegge i classici con conclusioni folgoranti.

Disegna per tutta la vita, per lavoro e per piacere, sul legno per pannelli d’arredamento, sul vetro per vetrate d’arredamento, sul cemento fresco con graffiti-affreschi di pareti di tante sedi degli istituti “La nostra famiglia”; sul cartone per dei suoi, tutti particolari, cartoni animati in televisione;  si inventa la tecnica del disegno in copia carbone che gli consente copie plurime di disegni da mandare agli amici; si inventa la tecnica, per la televisione, di una grande macchina che consente di mostrare a rotazione tre grandi disegni, suddivisi in 12 pannelli.

Dei suoi disegni i monregalesi possono ricordare la bella mostra organizzata da Marco Tomatis nel settembre del 94 e, soprattutto, i suoi tazebao esposti, a cadenza settimanale, in bella vista nella vetrina della farmacia di piazza, che parlavano di bambini, maestre, nuova specie, cinema e televisione, mamme e papà, coppie, e di tutti gli argomenti che gli stavano a cuore.                       

 

 

Sa fare cinema

avvicinandolo prima come tecnica a passo uno per la realizzazione dei film d’animazione, anche se il suo ruolo è ancora di disegnatore e creativo, a Milano e a Monte Olimpino di Como, al Tocia, la cascina dove, con suo fratello, le mogli e giovani che via via vengono ad aggiungersi al gruppo, vivono per anni in una comune ante litteram, condividendo attività artigianali e creative (cinema d’animazione, incisione di vetri, pannelli decorati, fotografia, illustrazione ed molte altre), e quelle del progettare ed attuare una vita a loro misura, giorno per giorno, in una condizione che attrae persone della cultura e dell’arte comasca e milanese, e dove si instaurano i legami di amicizie forti, di quelli che durano una vita.

 

Conosce meglio il cinema negli anni seguenti, a fine anni 50, quando dirige un società di produzione che realizza caroselli per la pubblicità televisiva, contenendo nelle esigenze di realizzazione le estrosità vitali di Walter Chiari e Dario Fo.

 

Lo fa finalmente suo nei dieci anni di lavoro a Monte Olimpino, con Bruno Munari e i cinque figli, con il laboratorio di cinema di ricerca, nato su stimolo di Munari che aiuta così Marcello a superare il difficile momento della morte della moglie Leda (è tutto raccontato nel libro “La collina del cinema” Nodo Libri editore di Como).

Lo fa ricavando da questo lavoro di ricerca una precisa definizione del mezzo cinema, delle sue caratteristiche di massima elasticità elaborativa all’interno di una rigorosa struttura di fasi di lavorazione. 

Un’analisi delle potenzialità del mezzo che gli fa comprendere, quasi illuminato da un film fatto da bambini cosiddetti “subnormali” nel 1966, come si potesse aprire un nuovo campo di applicazione del cinema che, portato nella scuola e messo a disposizione dei bambini, diventa strumento contemporaneamente di espressione e di apprendimento, e provoca un capovolgimento della relazione didattica tra maestro e bambini vigente nella istituzione scolastica. Una rivoluzione impossibile perchè inconcepibile.

E inizia un periodo che lo vedrà sempre attivo e disponibile, anche combattivo rispetto alle consuetudini radicate, per portare l’idea in ogni luogo, con un entusiasmo e una caparbietà che mantiene costante, sfidando la superficiale mancanza di attenzione che gli adulti hanno nei confronti dei bambini, diventando per la storia della pedagogia italiana, volenti o nolenti, quel “maestro e pioniere del cinema nella scuola”, come recita la targa “d’oro” consegnatagli nel 1995 al Festival di Venezia (”mi hanno dato l’oscar” diceva caustico aggiungendo "pionere perchè ho aperto il passaggio a nord-ovest, ma tutti continuano ad andare a sud-est").

 

 

Sa fare televisione.

fa televisione conoscendola nel profondo, attraversandone le peculiarità con una sintonia quasi simbiotica col mezzo.

Ne conosce e definisce puntualmente le caratteristiche, ne individua e ne propone usi che corrispondono deontologicamente alle potenzialità tecniche e sociali.

La fa dagli inizi, quando la televisione nasce in Italia, ed è ancora la pura essenza di un’evoluzione tecnologica della comunicazione nel campo dell’elettronica, quella che lui definisce la più corrispondente alla struttura del sistema nervoso dell’uomo, e quindi il mezzo con la maggior affinità possibile che l’uomo si è dato per comunicare,  attraverso la simultaneità che ha come specifico, che richiede una velocità di pensiero e di comportamento che portano ad essere e a dare il massimo di se stessi.

La fa e non la fa, estromesso dal sistema televisivo nel momento in cui questo viene controllato e rallentato politicamente.

La fa nuovamente quando ritorna libera, negli anni 70, e che libera nuovamente la voglia di farla, inserendo le sue idee nelle situazioni in grado di accoglierle ma che, lo sappiamo tutti perchè è la storia della nostra televisione, durano poco.

La fa comprendendone la valenza sociale che prende il posto, dalla sua nascita in poi, di quella del cinema, e portandola di conseguenza là dove, socialmente, può avere maggior peso a disposizione degli esclusi della comunicazione, i bambini (ma è convinto che per loro sia più adatto il mezzo cinema, più lento e dispiegato nel proporsi come da fare), i ragazzi (del carcere minorile), i vecchietti (degli istituti di ricovero).

  



 

Videoritratto "Marcello Piccardo - l'informazione capovolta" 1995

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